Ipocrisia e doppiezza nella discussione sulla città metropolitana

Di   24/10/2012

Il decreto-legge del 6 luglio 2012 recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica” noto come Spending Review, lungi dal ridurre gli sprechi – come strombazzato dal Presidente Monti e dai partiti (Pdl, Pd e Udc) e la grande stampa che lo sostengono – ha rappresentato l’ennesima manovra finanziaria mascherata fatta solo di tagli indiscriminati e lineari, con effetti drammatici in particolare sugli Enti Locali, sulla sanità e sui servizi e diritti dei cittadini (un taglio di 2,5 miliardi di trasferimenti ai Comuni, attraverso la drastica riduzione del “fondo sperimentale di riequilibrio “).
Come PRC ci siamo già pronunciati in passato contro la campagna demagogica per lo scioglimento delle Province, che in nome della sacrosanta lotta ai costi impropri della politica, tentava di mettere in discussione una funzione territoriale di governo dell’area vasta, costituzionalmente prevista.
Questo provvedimento del Governo Monti, in primo luogo, tenta di azzerare una risorsa della democrazia, sancendo un pericoloso precedente con l’attacco al sistema di elezione democratica degli Enti Locali. Peraltro, nel recente studio presentato dall’UPI, redatto da ricercatori del CERTET Bocconi, si stima il costo di funzionamento della rappresentanza democratica delle Province italiane nell’1,4 % (122 milioni) della spesa corrente delle province stesse a fronte di compiti e funzioni che non sono certo eliminabili e che, se accentrate nelle Regioni o decentrate ai Comuni, rischiano – come affermato nella citata ricerca – di costare addirittura di più.
In secondo luogo, si abbandona l’idea di un futuro delle Province come soggetto istituzionale fondamentale contro la crisi e per la tutela dei soggetti più deboli: ente territoriale di governo dell’area vasta, con un ruolo importante per la programmazione del territorio, della salvaguardia dell’ambiente e dei beni comuni, del trasporto pubblico e della scuola e possibile protagonista di processi di sviluppo partecipativi ed ecocompatibili.
La Città metropolitana rischia – in realtà variegate come quella della Provincia di Bari – di non rispondere alle necessità effettive di un territorio plurale e policentrico, che vedrà ridotti i flussi finanziari provenienti dall’unione euoropea ad esclusivo vantaggio dei grandi centri metropolitani. Grandi opportunità per le grandi città, e piccoli e medi comuni in competizione per accedere a trasferimenti sempre più esigui da parte del governo centrale. Questà e il risultato di un riordino istituzionale assolutamente disorganico che non tiene conto di una specificità del nostro tessuto amministrativo, caratterizzato dalla presenza di molti comuni e di poche grandi città dotate di hinterland,di fatto soltanto Roma, milano, Napoli e Bologna.Senza considerare che l’istituzione della Città metropolitana non garantisce le necessità di governo e coordinamento di area vasta che invece l’Area metropolitana avrebbe potuto assicurare meglio.
Infine, cosa non meno importante, si procede a un riodino istituzionale della struttura dello Stato non con una organica riforma costituzionale bensì attraverso il decreto legge che è uno strumento d’urgenza e che, non a caso, reca disposizioni per la spesa pubblica nonché “misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario” (come dire, “tagliamo la parte pubblica” per dare un segnale al paese e in Europa che rafforziamo il sistema privato delle banche, e del resto uno come Monti perché avrebbe dovuto fare diversamente?).
Procedere in questo modo rozzo ha ristretto i tempi di decisioni non solo delle assemblee elettive degli Enti Locali ma anche delle comunità, non essendo previsti referendum obbligatori in cui le popolazioni possano pronunciarsi ma rimettendo il tutto alla buona volontà delle Amministrazioni comunali in carica.
È questa ristrettezza dei tempi che costituisce la cornice in cui il Consiglio Comunale di Molfetta ha dovuto decidere il 12 ottobre scorso l’adesione o meno alla Città metropolitana di Bari, consentendo al sindaco Azzollini una battaglia strumentale e ipocrita contro la Città metropolitana mentre il senatore Azzollini non ha fiatato in alcun modo quando ha dovuto appoggiare a Roma il decreto legge della “spending review”.
La doppiezza di un politico che a Roma consente il “commissariamento” degli Enti Locali e a Molfetta e in Provincia si propone come capopopolo della crociata anti-barese, approfittando di oggettive differenze tra il concetto di “città metropolitana” e “area metropolitana”, un po’ come accaduto nella vicenda del taglio dei tribunali minori (a Roma si votano i tagli, a Molfetta si votano odg contro i tagli del tribunale di Molfetta).
In più, il dispositivo approvato in Consiglio dalla maggioranza – senza accettare neanche la proposta intelligente di referendum consultivo – crea seri rischi in ordine al futuro prossimo di Molfetta. Infatti, per aver scelto di non aderire alla Città metropolitana, Molfetta potrebbe essere inserita dal Governo nella provincia limitrofa sopravvissuta ovvero Foggia, non esistendo più la Bat, per questo abbiamo votato contro una delibera che rischia di associarci a una realtà istituzionale in cui sicuramente avremmo meno affinità che con Bari.

PRC Molfetta

Spiace dover osservare che il centrosinistra locale abbia preferito rincorrere prevalentemente Azzollini nella gazzarra propagandistica invece di ragionare sulle modalità con cui questo governo ha costretto le comunità locali a scegliere soluzioni che non risolvono i problemi, ma del resto non potevano fare diversamente coloro che insieme al Pdl di Berlusconi e Azzollini appoggiano il signor Monti a Roma.

PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA – Molfetta


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