sbarramento europee: intervista a Franco Monaco del PD

Di   01/02/2009

Vi consiglio questa lettura: Intervista a Franco Monaco, esponente ulivista del Pd
«Europee, un regalo a Berlusconi. Devastato il campo delle alleanze»
di Anubi D’Avossa Lussurgiu
pubblicata su Liberazione del 31 gennaio 2009

Franco Monaco, lei ha attaccato nella maniera più dura l’accordo della leadership del suo partito, il Pd, con il Pdl sulla modifica della legge elettorale. Ha parlato di «atto di egoismo di partito che il centrosinista pagherà a caro prezzo». Certamente saprà a quali obiezioni si espone una critica simile da parte sua, ulivista storico e prodiano di vaglia…
Voglio essere chiaro: da ulivista impenitente sono sempre stato per il maggioritario, per il bipolarismo, anzi persino in prospettiva per il bipartitismo. E sono sempre stato convinto dell’esigenza di semplificazione d’un sistema politico troppo frammentato, anche per favorire la stabilità dei governi. Ma dissento da questo blitz che ha in sovrappiù il sapore della furbata e della forzatura, per una ragione di metodo, una di oggetto e una di contesto.

Cominciamo da quella di metodo, suppongo: qual è?
E’ la stessa per la quale noi levammo alte grida nel 2006 contro il varo del “porcellum” appena alla vigilia delle elezioni politiche.
E qual è, Franco Monaco, la «ragione d’oggetto» del suo dissenso dal «blitz» sulla legge elettorale per le europee con soglia al 4 per cento?
E’ che un conto sono le elezioni politiche nazionali, dove ci si deve fare carico anche dell’esigenza di governabilità, altro conto invece le europee dove il Parlamento non elegge alcun governo e si deve privilegiare il principio di rappresentanza.

Oltre queste motivazioni, adesso condivise anche dal presidente della Campania Antonio Bassolino, la ragione di «contesto» si riferisce forse a quell’«appeasement su tutte le questioni che contano, dalla giustizia al federalismo sino alla riforma contrattuale» che lei ha già denunciato nel suo attacco alla condotta della leadership del partito democratico?
E’ più profonda: io ho sempre pensato che la riforma delle regole elettorali dovesse andare di pari passo con la costruzione dei soggetti, un processo genuinamente politico, nel caso nostro il partito dell’Ulivo. La verità è che questo Pd ci ha portati così indietro dal punto di vista della costruzione del soggetto di centrosinistra, riuscendo nella brillante impresa di produrre un centrosinistra più piccolo e più diviso, che oggi non ha le qualità né la quantità per proporsi come promotore di unità del campo del centrosinistra. Ecco perché diciamo che con questa operazione semmai si genera un bipolarismo asimmetrico: una partita che solo formalmente è a due, dall’esito già scritto, tutto a vantaggio della destra berlusconiana. In queste condizioni, forzare sulle regole fa danno alla causa.

Lei dunque ha in mente una linea alternativa…
Oggi la priorità delle priorità è la ricostituzione di un campo di forze del centrosinistra, non l’esatto contrario e cioè atti, come questo della riforma della legge per le europee, che producono ulteriori divisioni. Non si può correre avanti con leggi elettorali ad ispirazione maggioritaria nel momento in cui si va indietro con un soggetto politico che è diventato un fattore di divisione anziché di unità. E’ un’operazione sicuramente tutta in perdita per il centrosinistra.

Può dimostrarlo praticamente?
Già oggi si incrinano i rapporti con gli alleati attuali e potenziali. E già oggi, sottotraccia, si realizza appunto quell’appeasement con la maggioranza sulle questioni in agenda, dal federalismo alla giustizia, dai contratti sino alla Rai.

Pd e “campo del centrosinistra” sono dunque in conflitto?
Io penso che l’operazione sulle europee sia presumibilmente in perdita anche per il Pd.

E perché?
Perché è quantomeno dubbio che questo blitz porti al Pd il cosiddetto voto utile: non escludo che invece produca un rigonfiamento del bacino dell’astensione. Persino con un surplus di astensionismo risentito e punitivo, come reazione ad un atto di egoismo e i prepotenza.

Goffredo Bettini, intervistato da Maria Teresa Meli ieri sul Corriere della Sera, nega che sia tale: parla della soglia al 4 per cento come occasione per «uno sforzo di convergenza» anche della «sinistra più radicale» e poi dice che «il Pd deve mettere in campo un tentativo per dare rappresentanza ad altre forze della sinistra riformista», citando socialisti e Sd. A cosa mira?
E’ una lusinga all’indirizzo di alcune di queste formazioni con l’obiettivo di dividerle dalle altre. Se capisco, la prospettiva è l’apertura delle liste del Pd a candidati di matrice socialista e o di Sd. A mio avviso non è con tali mezzucci che si viene a capo di questa contraddizione politica: né le lusinghe né le minacce dovrebbero far parte del repertorio di un partito che si propone di promuovere una più vasta unità, facendo leva sulla politica e dunque sulla persuasione, piuttosto che sulla imposizione di regole capestro.

Anche Veltroni nel frattempo ha rilanciato l’interpretazione della soglia di sbarramento come occasione per la «sinistra radicale» di formare «una forza unita» che secondo lui «la supererà ampiamente».
Questa, che vorrebbe indorare la pillola, non può che suonare come una provacazione. Come dire: lo facciamo per il vostro bene, anche se voi non ci arrivate…

Torniamo al «contesto»: lei ha parlato di «grande compromesso» fra Pd e maggioranza «patrocinato da più parti, politiche e non». Traduciamo?
C’è da sempre un’ambizione dell’establishment a condizionare gli attori politici e segnatamente il Pd e di converso una qualche subalternità psicologica oltre che culturale dell’attuale gruppo dirigente del Pd alle sirene dell’establishment. Comunque nel caso di questo blitz sulla legge elettorale, la lettura penso sia più semplice: si tratta di un baratto tra Berlusconi e Veltroni, nel quale – ripeto – il primo di sicuro incassa, mentre è incerto il vantaggio per il secondo, ancor più lo è per il Pd e di sicuro è a saldo largamente negativo per ciò che residua del centrosinistra italiano.

Dunque c’è un dibattito di fondo nel Pd?
Quale dibattito? Siamo condannati a discutere sulle pagine dei giornali: perché, per quanto suoni paradossale considerata la denominazione, non esiste un solo organo nazionale del Pd democraticamente eletto nel quale ci si possa confrontare e assumere insieme decisioni che impegnano tutti. La deprecata litigiosità è la naturale conseguenza di un clamoroso deficit di democrazia interna che denunciamo invano sin dalle primarie ridotte a plebiscito, proprio al fine di mascherare le profonde differenze politiche che inesorabilmente vengono a galla.

Posso dire che suona un po’ paradossale sentire un ulivista e prodiano come lei svolgere una critica i cui contenuti, compresa la denuncia della scelta sulla riforma dei contratti, coincidono con quelli della critica svolta da Massimo D’Alema?
E’ fuori discussione che dal punto di vista della visione e del modello gli ulivisti dovrebbero essere più vicini a Veltroni che a D’Alema. Ma il punto è che Veltroni, con la complicità di Bertinotti ossia con la “separazione consensuale” consumata con irresponsabile leggerezza, ci ha portati così indietro rispetto all’ispirazione unitaria dell’Ulivo, quale soggetto unitario e fattore d’unità nel centrosinistra, da condurci in questa fase a privilegiare l’obiettivo, più circoscritto se si vuole, di ritessere relazioni politiche con le forze del nostro campo. E’ il prodotto della dichiarata sconfessione dell’Ulivo da parte della nuova stagione veltroniana e della conseguente devastazione del nostro campo di forze: che già ci ha procurato una pesante sconfitta e che se non interrotta promette di condannare il Pd e l’intero centrosinistra a una eterna minorità.


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