Perché ci diciamo comunisti

Di   04/11/2008

di Paolo Ferrero
Da un po di tempo Liberazione pubblica con grande rilievo articoli che chiedono di abbandonare il nome comunista. Al fondo la tesi riproposta in varie salse è che la parola comunismo è inutilizzabile perché l’esperienza storica concreta ne ha stravolto il significato. Tra chi propone di abbandonare il nome comunista vi è chi si pronuncia a favore del nome sinistra, chi a favore del socialismo, chi non propone nulla. Tutto questo si intreccia con un altro filone di dibattito che propone di andare oltre il Partito della Rifondazione Comunista, per fare un altro partito, per fare un’altra cosa che non sia un partito, etc.
Le argomentazioni portate mi pare ripropongano un po’ stancamente quanto già sostenuto da Occhetto e dai suoi sostenitori dopo l’89 ma tant’è, come si sa la prima volta la storia si presenta come tragedia, la seconda come farsa.
Per quanto mi riguarda io la penso così:
Il concetto di comunismo ha una storia che travalica le vicende del secolo breve. Non voglio qui affrontarlo. Mi pare invece utile sottolineare come in Italia il gruppo dirigente comunista alle origini si è formato nella vicenda dell’occupazione delle fabbriche e valorizzando la costruzione dei consigli di fabbrica. Nel corso della guerra ha saputo dar vita ad un movimento di resistenza antifascista unitario e democratico che ha contribuito a liberare l’Italia e a dare al nostro paese un assetto democratico strutturato attorno ad una carta costituzionale assai avanzata. Successivamente i comunisti hanno variamente lottato e con una certa efficacia contro lo sfruttamento e per la giustizia sociale. Un terzo degli elettori italiani è arrivato a dare fiducia ad un partito che si chiamava comunista e che poneva la questione morale come punto non secondario della riforma della politica. Rifondazione comunista nel suo piccolo è stata presente nei vari conflitti che hanno percorso il paese ed è stata in grado di collocarsi positivamente nella grande stagione nel movimento no global.
Il tutto cercando di intrecciare le lotte per i diritti sociali con quelle per i diritti civili, lotte operaie e lotte ambientali, lotte per la redistribuzione del reddito con le lotte contro la mercificazione delle persone, dell’ambiente, delle relazioni sociali. In altri temini la parola comunismo in Italia è legata alle battaglie per la giustizia e la libertà. Dopo l’era craxiana non mi pare si possa dire lo stesso per la parola socialismo.
La parola sinistra ha storicamente un significato positivo nel nostro paese. Ha a mio parere un difetto e cioè che si tratta di una coperta che copre molte cose. Ad esempio all’interno del partito democratico vi sono persone e posizioni che si definiscono di sinistra che sono però anche variamente confindustriali e per nulla anticapitaliste. La parola sinistra cioè da sola non definisce una posizione chiara dal punto di vista della divisione di classe della società né dal punto di vista della volontà di superare il capitalismo; tant’è che negli anni scorsi abbiamo giustamente detto che esistevano due sinistre, quella moderata e quella radicale o alternativa o antagonista. Da questo punto di vista il definirsi di sinistra e comunisti mi pare rappresenti un modo chiaro per dire da che parte si sta. Siamo di sinistra ma siamo anche comunisti, cioè lottiamo contro lo sfruttamento, quando serve anche contro il Vaticano e ci battiamo per il superamento del capitalismo. Dirsi comunisti è quindi una risorsa per qualificare il nostro essere di sinistra. Porre il tema del comunismo significa porre il nodo della rivoluzione, del cambiamento radicale dello stato di cose presenti. Tant’è che quando taluni esponenti del centrosinistra affermano di non voler mai più fare accordi con liste che contengano la falce e il martello lo dicono non certo per la nostra storia ma perché siamo concretamente, politicamente, qui ed ora, anticapitalisti.
Questo per quanto riguarda l’Italia. I comunisti però, in particolare quando hanno preso il potere, hanno anche fatto grandi disastri. Lo stalinismo ha contraddetto radicalmente le aspirazioni di giustizia e libertà del movimento comunista. Per questo ci siamo chiamati Rifondazione Comunista. Non solo il nome di un partito ma un progetto politico: rifondare il comunismo avendo fatto fino in fondo i conti con lo stalimismo. Riconosciamo che la storia dei comunisti e delle comuniste è la nostra storia, ne abbiamo analizzato gli errori e gli orrori al fine di non ripeterli. Rifondazione e Comunista sono quindi due termini che si qualificano a vicenda, ci parlano della persistenza ma anche della discontinuità, ci parlano della contraddittorietà del nostro tentativo di andare oltre il capitalismo nel nostro essere fino in fondo uomini e donne di questo tempo.
La rifondazione del comunismo è quindi il progetto politico che abbiamo scelto quando Achille Occhetto ha sentenziato che il comunismo era solo un cumulo di macerie. Nulla vieta che altri oggi la pensino come Occhetto ma a me francamente pare che i guai che abbiamo avuto negli anni scorsi non siano derivati dal nostro nome ma piuttosto dai nostri errori politici, in primo luogo la scelta di andare al governo.
Io penso quindi che oggi sia più necessario di ieri dirsi comunisti, di Rifondazione comunista. E’ il nome che meglio di qualunque altro definisce qui ed ora il nostro anticapitalismo e la nostra autonomia da un ceto politico che si definisce di sinistra ma con le cui prospettive politiche abbiamo poco a che spartire.
E’ evidente che si potrebbe continuare ad argomentare a lungo ma voglio utilizzare lo spazio che mi resta per sollevare un paio di quesiti.
In primo luogo è evidente che la discussione dovrebbe cominciare da qui, cioè dalla rifondazione comunista. Si tratterebbe di aprire una discussione non a negativo ma a positivo. Si tratterebbe di ragionare su come rendere al meglio oggi la prospettiva comunista. Di come la nostra azione non si possa situare solo al livello politico della rappresentanza. Di come si ridefinisca la politica comunista in relazione ai movimenti, alle mille vertenzialità, alle forme di mutualismo. Di come si intreccino oggi i diversi conflitti e come possono interagire in una prospettiva di superamento del capitalismo. Di come si possa affrontare la crisi capitalistica proponendo il tema del controllo sociale dell’economia ed evitando la guerra tra i poveri. Di come si intrecci la lotta per il salario con quella per il reddito sociale con la lotta contro la mercificazione di ogni ambito sociale, e così via. Il dibattito di cui avremo bisogno non riguarda la ripetizione dell’occhettismo ma l’approfondimento della prospettiva della rifondazione comunista. Purtroppo però Liberazione non si cimenta sul terreno della rifondazione comunista ma su quello del suo superamento.
In secondo luogo è bizzarro che il giornale del Partito della rifondazione comunista metta in prima pagina il dibattito sul superamento del comunismo e a pagina 19 gli articoli in cui alcuni dirigenti del partito avanzano proposte politiche e cercano di far avanzare il progetto di rifondazione comunista.
In altre parole, la vera novità non mi pare il dibattito sul comunismo, ma il fatto che oggi Liberazione , il giornale del Prc, sia il soggetto che con maggiore costanza e determinazione chiede il superamento del Prc e del suo progetto politico. Devo dire che questa novità non mi pare molto utile.

pubblicato su Liberazione del 02/11/2008

PRC-Molfetta


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