Ancora su biocarburanti e biomasse liquide

Di   15/05/2008

A proposito di biomasse liquide, per la precisione olio di palma, che verrà bruciato nella centrale Powerflor di Molfetta, vi propongo un interessante articolo di Sabina Morandi pubblicato su Liberazione, tanto per migliorare l’idea di “sostenibilità” di certe scelte energetiche:

Se per riempire il serbatoio di un Suv è necessario tanto mais quanto basterebbe per nutrire una persona per un anno intero, la conta del disastro è presto fatta. Negli Stati Uniti – dove cresce il 40% del mais del pianeta – le coltivazioni si stanno rapidamente riconvertendo grazie ai sussidi diretti e agli incentivi fiscali e di qui a pochi anni la metà dei raccolti potrebbe essere destinata alla raffinazione.
In Brasile invece, dove gli esperimenti con la benzina di derivazione vegetale sono in corso da decenni, più che riconvertire si taglia la foresta primaria, fondamentale per l’equilibrio del disastrato clima globale. Peccato che una volta disboscato, il suolo dell’Amazzonia è quanto di meno fertile si possa immaginare: dopo due o tre anni si trasforma in un deserto, e le coltivazioni energetiche vanno spostate altrove.
L’apporto che i biocarburanti ricavati dalle coltivazioni di cereali, barbabietole, canna da zucchero e colza, potrebbero dare all’abbandono dell’economia petrolifera non è facile da valutare. Ci ha provato il gruppo di Berkeley che ha condotto uno studio scientifico apparso su Science spezzando una lancia a favore dell’etanolo, l’alcol di derivazione vegetale che negli Stati Uniti rappresenta il 2% delle miscele di carburante utilizzate su strada. I ricercatori hanno condotto una rigorosa analisi di sei studi precedentemente pubblicati, due dei quali liquidavano l’impiego dei biocombustibili come antieconomico perché, conti alla mano, la produzione di etanolo sembra richiedere più energia di quanta ne restituisca. L’ultimo studio ribalta questi risultati, sia pure con i dovuti distinguo: le coltivazioni energetiche possono comportare un minor consumo di petrolio rispetto alla produzione di benzina e può ridurre del 10-15% l’immissione di gas serra nell’atmosfera. A patto però che la transizione verso l’etanolo avvenga solo ricavando l’alcol non dai cereali ma dalla cellulosa, cioè dalla conversione per fermentazione batterica della fibra legnosa. Metodi troppo costosi e inutilizzabili, per il momento, a meno che non vengano spesi un po’ di soldi per finanziare la ricerca e lo sviluppo delle nuove tecnologie.
L’attuale generazione di biocombustibili è quindi sostanzialmente antieconomica ma si tiene a galla grazie alle enormi sovvenzioni (negli Stati Uniti) e alla bolla speculativa (Brasile e Indonesia) che premia comunque gli imprenditori che disboscano – facendo salire le azioni delle loro società – prima ancora di seminare il primo raccolto. Se poi questo si rivelerà magro poco importa: i profitti sono assicurati dal mercato azionario anche se ci si è lasciati alle spalle il deserto. E visto che il Brasile di Lula sembra fermamente deciso a cavalcare la sua posizione avanzata nel settore dei biocombustibili, e non disdegna affatto l’impiego di mais o soia geneticamente modificati, il destino degli ultimi alberi secolari del pianeta potrebbe essere già segnato, con conseguenze drammatiche per il mondo intero.
Quanto poi sia realistica la promessa di sostituire il petrolio con i combustibili vegetali è presto detto: secondo l’International Energy Agency, massima autorità nel settore, lo scenario più ottimistico riserva all’etanolo appena il 10% dei consumi di qui al 2025. In realtà i biocombustibili derivati dagli olii vegetali vengono già prodotti negli Stati Uniti, principalmente da soia quasi tutta transgenica (sono necessari circa 3,2 chilogrammi di soia per 3, 8 litri di diesel) mentre l’etanolo, un alcool derivato principalmente dalle granaglie e dalla canna da zucchero, va forte in Brasile, primo produttore mondiale che già allunga ogni litro di benzina con un 25% di combustibile vegetale. Al terzo posto fra i produttori mondiali di biocombustibili si piazza la Cina, la cui fame energetica è ben nota, seguita dalle Filippine e dall’Indonesia, che stanno concentrando i loro sforzi sulla raffinazione dell’olio di palma. Il biodiesel europeo è praticamente confinato in Francia e Germania, notoriamente molto avanti nella riduzione dei consumi e nell’efficienza energetica, ma la crisi dei prezzi alimentari – causata in buona parte proprio dalla bolla speculativa del biocombustibile – sta inducendo l’Unione europea a fare marcia indietro rispetto all’obiettivo che si era data di sostituire il 5,7% dei carburanti con i biocombustibili a partire dal 2010. Fra guidare e mangiare, stavolta Bruxelles ha scelto bene.

PRC-Molfetta


Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.