Documento della Conferenza di Organizzazione del circolo di Molfetta

Di   10/03/2015

La Conferenza d’Organizzazione 2015
di Rifondazione Comunista

1. Alcune premesse

È positivo che si tenga questa conferenza d’organizzazione per fare il punto sullo stato del nostro partito e riflettere più attentamente sulla sua condizione organizzativa. Ragionare sull’organizzazione per noi non è mai, come si dice di solito, un fatto a sé, sganciato dalla riflessione politica, culturale e sulla linea politica che si vuole perseguire.
Le riflessioni di seguito presentate si concentrano su alcuni passaggi importanti del documento della Conferenza d’organizzazione sia dal lato strettamente organizzativo che da quello più esplicitamente politico.
In primo luogo, valutiamo negativamente che il documento sia stato pubblicamente a disposizione in tempi così ristretti e molto ravvicinati rispetto all’avvio delle conferenze d’organizzazione di circolo. È già questo un indicatore negativo sullo stato attuale dell’organizzazione del partito. In precedenti conferenze d’organizzazione il documento alla base della discussione del corpo largo del partito era messo molto tempo prima a disposizione per essere letto, studiato, meditato, metabolizzato. Non andiamo certo ai tempi in cui vi era lo strumento del quotidiano Liberazione e lì vi si svolgeva una tribuna-dibattito sui materiali della conferenza, ma sarebbe bastato inviare alle federazioni e ai circoli il documento un paio di mesi prima per costruire un percorso più sentito e partecipato, invece così il percorso rischia di essere strozzato dalle scadenze ravvicinate imposte dal regolamento della Conferenza e dalle successive scadenze elettorali.
Veniamo, in secondo luogo, al titolo “E’ ora: fermare l’austerità in Europa, costruire la sinistra antiliberista, rilanciare il partito”. Crediamo che gli estensori abbiano invertito l’ordine d’importanza delle questioni che per noi invece, trattandosi di una conferenza d’organizzazione, è il seguente: “E’ ora: rilanciare il partito, costruire la sinistra antiliberista, fermare l’austerità in Europa”.
Crediamo che almeno, adesso, dopo anni di incuria organizzativa e pressapochismo – come positivamente rilevato in alcuni passaggi del documento stesso – andrebbe assegnata priorità al rilancio organizzativo del partito. E non basta ribadire che per i comunisti l’organizzazione è funzionale alla linea politica. Bene, per definire la linea politica vi è stato un anno fa un congresso che ha fissato le linee guida, quindi è urgente affrontare in questa sede i nodi e ciò che non va nella nostra organizzazione, che impedisce il raggiungimento degli obiettivi, indicando le linee di lavoro per risollevare il partito da uno stato di debolezza.
L’errore d’impostazione del documento, che rischia di neutralizzare anche gli aspetti positivi in esso contenuti, è ripetuto verso la fine di pag. 5: “La garanzia che tutto non si fermi, oltre al nuovo contesto sopra descritto, è che il nostro Partito abbia ben chiari i suoi compiti: costruire la sinistra e rafforzare il Partito. Le due cose non sono in contraddizione: sono i compiti dei Partiti comunisti della nostra epoca”. È vero, le due cose non sono in contraddizione, anzi sono anche legate da un vincolo di contestualità, però a nostro giudizio l’ordine giusto è sempre inverso: “rafforzare il Partito e costruire la sinistra”. Anzi, se dovessimo rideclinare sarebbe meglio: “ricostruire il Partito per rafforzare la sinistra”.
Un partito senza autosufficienza economica, senza un organo di informazione interna ed esterna, senza un minimo di apparato, senza il supporto dal centro in termini sia di linea, sia di idee che di materiali politici e organizzativi è un partito che non esiste quasi più. Un partito che può contare su poco più di 20.000 iscritti, ragionevolmente e ottimisticamente sulla metà di militanti attivisti, è un partito che difficilmente funziona come un corpo combattivo nella società. Epperò questa risorsa residua di iscritti e militanti che nel territorio mantengono in piedi le organizzazioni locali nonché il sempre più faticoso riferimento a un simbolo che sempre meno di frequente si presenta mediaticamente o nelle urne elettorali, è la nostra più grande ricchezza che va rilanciata, utilizzando al meglio le risorse economiche residue per generarne di nuove.

2. Il senso del partito

Apprezziamo positivamente che nel documento della conferenza si pongano come pressuposti fondamentali di questo rilancio l’autonomia culturale, politica, organizzativa e l’opera di radicamento nella società, su cui ritorneremo. Ugualmente apprezziamo la critica ai “nostri passati gravi vizi di istituzionalismo” anche se riteniamo che il riflesso condizionato dell’istituzionalismo sia ancora presente nel nostro partito, le cui riunioni e congressi si ingrossano ancora in occasione di decisioni che riguardano organismi interni di rappresentanza e in vista della compilazione di liste o posti nelle liste elettorali e si svuotano nel corso quotidiano del lavoro politico e militante.
Altrettanto positivo è il giudizio che si dà di “tanti settori di movimento e intellettualità che tifano per le esperienze latinoamericane o per quelle degli altri paesi europei ma in Italia continuano a praticare un rifiuto non solo della ‘forma-partito’ ma persino, a volte, della stessa battaglia su un piano politico generale”. Ma se questo giudizio è giusto, come noi crediamo anzi sacrosanto, a che vale indebolirlo con il reiterato richiamo al fatto che “Noi ci sforziamo di ‘camminare domandando’”, eredità di quell’innamoramento esotico dello zapatismo di fine secolo e inizio millennio emblematico del partito “bertinottiano”?
Intendiamoci, nessuno ha la verità in tasca ma se si fa politica e ci si organizza, bisogna farlo con la convinzione che quello che si sta dicendo e facendo sia opportuno, anzi sia più giusto di quello che altri, anche alleati e vicini, stanno facendo, altrimenti si perde la ragion d’essere della propria soggettività e del proprio essere in un partito e non si è più credibili, soprattutto dinanzi a se stessi e al corpo largo del partito. Non ha senso dire di voler rilanciare il partito e poi dire di voler ‘camminare domandando’.
Più che camminare sarebbe meglio rilanciare il partito strisciando pancia a terra nel lavoro quotidiano, avendo le risposte ovviamente parziali ma convinte e convincenti, per chiunque ponga una domanda sia dentro il partito che dal di fuori. Ci convince sempre meno la spiegazione che la crisi della politica dipenda dal fatto che questa non ascolti abbastanza ciò che viene dal basso o dalla società, iniziamo a pensare che la crisi nasca invece dal fatto che la politica non parli abbastanza, non dica la sua e non lo dica con autorevolezza e competenza.
È vero che come comunisti abbiamo tanto da apprendere e imparare (spesso molto di più dai nostri avversari di classe che dai presunti intellettuali “compagni” di strada), ma dobbiamo essere anche consapevoli che qualcosa possiamo e dobbiamo anche insegnarla. Se ‘camminare domandando’ significa l’ovvietà di chi nella sua esperienza di vita impara sempre qualcosa, allora è superfluo richiamarsi ad esso. Se invece significa che quel che stiamo facendo o quel che stiamo per dire è a priori incerto o insicuro, allora forse abbiamo sbagliato in qualcosa e dunque prima di fare e dire qualcosa è meglio se ci chiariamo le idee.
Abbiamo dimostrato, in occasione di collaborazioni e coalizioni (da Rivoluzione civile all’Altra Europa) che una forza politica organizzata può essere utile e imprescindibile, ad es. nella raccolta di firme per la presentazione di liste elettorali o per sfruttare una rete territoriale il meno possibile a macchia di leopardo. Dunque per noi non dovrebbe essere indifferente essere davvero dappertutto nel paese ma soprattutto avere una visione generale di quello che accade nel mondo, in Europa, in Italia, nella propria regione, provincia, città e quartiere. È vero che il nuovo mondo globale è complesso, è cambiato ma come altri attori e altri soggetti hanno la loro visione e la loro narrazione “semplificatrice” che offre una guida, una direzione, una traduzione a chi chiede, a chi ascolta, anche noi dobbiamo avere sempre una visione, una risposta per indirizzare, guidare, essere in campo.

3. Il senso dell’organizzazione

Che significa quanto detto dal punto di vista dell’organizzazione?
Significa innanzitutto ricostruire e rafforzare i nostri livelli centrali e territoriali, renderli economicamente sostenibili, far sì che tutte le organizzazioni di partito sappiano che fare, come farlo e nel modo il più possibile efficace ed efficiente per giocare non solo alla pari con altre soggettività ma contare sempre di più. Non possiamo e non dobbiamo più essere quelli che in contesti plurali (da Rivoluzione civile all’Altra Europa, alle tante esperienze locali e civiche) si presentano come figli di un dio minore e che, pur mettendo a disposizione con generosità militanti, mezzi e strutture per lo scopo comune, hanno sempre un diritto di parola, di voto, di scelta dimezzati rispetto ad altri.
Ovviamente per stare alla pari con tutti e per svolgere come giustamente dice il documento a pag. 10 quella “funzione di ‘traduttore sociale’, cogliendo gli obiettivi e gli elementi unificanti in una situazione di grande frantumazione” bisogna non solo riaffermare il primato della politica che ricompone, che interviene, che sceglie anche le priorità e gerarchizza spazi e tempi (basta per favore con i luoghi comuni dominanti – qualcuno le chiamerebbe “utopie letali” neoliberali del “partecipazionismo”, dell’“orizzontalismo”, dell’anti-verticalismo di principio sempre e comunque, soprattutto a partire dal nostro interno) ma avere i mezzi per farlo.
Avere i mezzi significa disporre di risorse materiali e strumenti di informazione e propaganda, di un numero di attivisti che militano dando tutto quello che possono per far sì che il partito non sia un’organizzazione tra le tante ma quella la cui parola e il cui peso diviene determinante, senza del quale non si può procedere in avanti.
Per lunghi anni non è stato così, non solo per ragioni “oggettive” e generali legate al contesto, ma anche per un nostro deficit di soggettività, per un’arrendevolezza, per una impreparazione morale e materiale nostra, per nostra insipienza. Ovviamente è superfluo dire che questo partito non si costruisce con il sol fatto di affermare certi principii e certe prerogative, non serve né l’arroganza né la boria di partito per cui la parola del partito si afferma magicamente nei contesti sociali larghi e in quelli politici plurali solo perché pensiamo, giustamente, che il partito possa e debba avere una funzione dirigente.
È vero invece, come scritto bene nel documento, che i nostri militanti devono essere presenti e interni nelle lotte laddove ci sono (esserne l’elemento più attivo e dirigente per capacità e disponibilità al lavoro, come nella migliore tradizione comunista italiana) o promuoverne dove non ci sono. Solo se si è parte della “classe” si può essere riconosciuti come riferimento politico autentico. Serve dunque promuovere e partecipare ma, a differenza del passato, senza sottostare a pregiudizi ideologici per cui gli appartenenti a un partito o il partito stesso devono spogliarsi della loro identità. Bisogna riaffermare un orgoglio di appartenenza, ma quest’orgoglio deve avere gambe e risorse su cui manifestarsi. E veniamo dunque al nocciolo delle questioni più strettamente organizzative e nello specifico al tema del radicamento.

4. Il senso del “fare società”

Il cuore della proposta politico-organizzativa del documento è la formula del “partito sociale”, cioè di un “Partito capace di fare società” come scritto a pag. 9.
Riteniamo indispensabile chiarire questa formula e cimentarci con la sua interpretazione, tanto più che in altre occasioni è stata lanciata come parola d’ordine per tutto il partito e non ci sembra che sia stata in grado di affermarsi né di generalizzarsi. Sarebbe stato utile e lo sarebbe ancora fare un bilancio di quelle realtà che hanno intrapreso questi percorsi di “partito sociale” vari e multiformi per capire cosa ha funzionato, cosa non ha funzionato e quale ricaduta ci sia stata sia in termini di crescita militante, di iscritti e attivisti del partito sia anche in termini politico-elettorali-istituzionali. Il documento parla di verifica delle attività, bene introduciamola a partire dalle attività che a vario titolo in questi anni sono rientrate nella formula onnicomprensiva di “partito sociale” per capire di che si tratta, in che cosa consiste e quale funzione politica ha questa idea di “partito sociale”.
Non vorremmo infatti che questa parola d’ordine produca equivoci e diffonda illusioni semplicistiche di salvezza o di rigenerazione della politica nel corpo largo del partito, nei suoi militanti mentre nella realtà coincide sostanzialmente nella fornitura di servizi e nella risposta a bisogni quali supporto legale o fiscale tipici di un caf e di un patronato, gruppi di acquisto popolare o fornitura di prestazioni medico-specialistiche alternative e “sottocosto”.
Intendiamoci sono tutte attività utili, auspicabili e funzionali alla crescita delle organizzazioni territoriali del partito – come diremo più in avanti – ma è un errore politico-culturale confondere queste attività con il “fare società”, anzi confondere queste attività con l’essenza stessa della politica di trasformazione che un partito comunista deve darsi è un errore tremendo. Proviamo a spiegarci meglio.
Ci sembra pacifico che anche altri partiti e altri soggetti offrano supporti e consulenze, che altre soggettività associative e sociali costruiscano percorsi e circuiti di economia solidale oppure come avviene in alcune zone del paese ci siano soggetti che costruiscano le loro fortune elettorali e politiche sull’elargizione di servizi, prestazioni, alimenti “sottocosto” rispetto alla sfera del mercato privato, in alcuni casi con modalità che noi stessi non esiteremmo a definire “clientelari”.
Può sembrare scandaloso ma se questo è vero, allora anche per tanti altri soggetti possiamo parlare di un “fare società”? Se sì, dove sarebbe allora la nostra specificità? Nel volantino che rifiliamo alle persone incrociate in questi ambiti o nella verniciatura “comunista” che diamo a queste attività? Può anche darsi ma crediamo non sia sufficiente anche perché questa fornitura di servizi, prestazioni e sostegno alimenta anche aspetti di delega, affidamento o “estraneazione” dalla politica poiché gli individui colpiti dalla crisi si affidano e delegano a queste nuove strutture i loro bisogni, legandosi ad esse in modo quasi “paternalistico”. Diversi sono i casi in cui i circuiti ad es. di acquisto solidale si diffondono con la parola d’ordine della qualità, della genuinità biologica e dei nuovi stili di consumo, ma in tali circostanze siamo indotti a pensare che il successo di queste esperienze sia presente in gruppi sociali non colpiti dalla crisi o meno colpiti, in fasce che dispongono comunque di un reddito e si rivolgono a questi circuiti “differenziati” per altre motivazioni che il bisogno pressante.
Tornando invece alle iniziative tipiche in questi anni del “partito sociale” e cioè ai gruppi di acquisto popolari o alla fornitura di servizi, consulenze, prestazioni sociali a vario titolo – siano esse gratuite o a prezzi “calmierati” – crediamo che queste attività siano utili per il partito, vadano proseguite, rafforzate e anche “difese” dal momento che sono in “competizione” con altre analoghe iniziative messe in campo da altri soggetti. Vogliamo però specificare in cosa consista la sua utilità.
Sono utili perché danno alle organizzazioni di partito, e agli attivisti che le attuano, la possibilità concreta di entrare in contatto con fasce ulteriori della popolazione fino ad allora mai incrociata tramite le abituali e classiche iniziative di partito, offrono quindi una platea più larga su cui intervenire anche politicamente ma, appunto, non sono le attività del “partito sociale” a essere esse stesse intervento politico compiuto. Quelle attività creano solo l’occasione di cui approfittare per “fare politica”.

5. Il senso del “fare politica”

Dobbiamo dunque fare attenzione a scambiare queste attività con il “fare società” perché puntare tutto o quasi sull’aspettativa generata da queste attività può procurare delusioni e, secondo noi, non genera quel salto di qualità e quantità del nostro ruolo e della nostra forza politica e organizzativa.
Non cadiamo anche noi nella ideologia e nella retorica della società civile “buona” che si auto-organizza dal basso rispetto ai poteri istituzionali che “dall’alto” reprimono i bisogni e le libertà, facciamo molta attenzione perché questa rappresentazione non coglie il fatto che i poteri economici e politici “dall’alto”, che regolano e regolamentano il meccanismo sociale ed economico, sono al contempo capaci di recuperare e accontentare parzialmente gruppi particolari di individui colpiti dalla crisi e dalle disfunzioni del sistema.
In altre parole, chi ha bisogno si rivolge alle nostre iniziative di sostegno e supporto sopra citate come può farlo benissimo nei confronti di altri soggetti che magari sono associazioni, partiti, sindacati o soggetti anche in grado di offrire più servizi o vantaggi economici. E magari si tratta di soggetti (associazioni, partiti, sindacati, patronati e caf, organizzazioni no profit del terzo settore) che, attraverso individui o tramite canali di finanziamento più o meno istituzionali oppure convenienze imprenditoriali e private, contribuiscono dall’altro lato o in altra sede (istituzionale, politica, sindacale, economica) a quelle scelte di sistema che generano la crisi e l’aumento di bisogni essenziali.
Quindi senza denunciare, smascherare, aggredire e modificare questi nodi politici di sistema non si va molto lontano, soprattutto se ci si illude con una certa lettura del “partito sociale” che soltanto “facendo società” incarna finalmente la lotta delle persone comuni che stanno “in basso” contro i poteri e le caste che stanno “in alto”.
Per capirci ancora meglio, quante volte abbiamo creduto che persone o gruppi aiutati dal nostro impegno e dalle nostre iniziative politiche e sociali avrebbero riconosciuto quasi “automaticamente” questo ruolo, magari in occasione di competizioni elettorali oppure dedicandosi in prima persona all’impegno politico, invece così non è stato anzi siamo rimasti delusi perché quelle persone e quei gruppi hanno magari incontrato sulla loro strada un “fornitore” di servizi e di sostegni meno “esigente” dal punto di vista culturale e politico come noi ma più largo di manica dal punto di vista strettamente materiale “recuperando” così il potenziale conflittuale espresso da quelle persone e quei gruppi.
Significa, perciò, che serve un intervento più propriamente politico presso le persone e i gruppi sociali, o le masse se preferite, per diffondere l’idea che senza conflitto non si producono salti in avanti, che senza battaglia politica e culturale è facile essere “riassorbiti”, che senza organizzazione politica non si cambiano i meccanismi di fondo delle disuguaglianze. Parafrasando Tronti, bisogna tornare a “fare società con la politica” nel senso che “non conosciamo più la struttura della società perché manca la forma dell’organizzazione politica: organizzazione del conflitto sociale, della lotta politica, della battaglia culturale, organizzazione del governo” perché “tra i compiti più attuali della sinistra ci siano oggi quelli di ritrovare e ridare alcune certezze, mettere dei punti fermi, offrire segni di orientamento, riprendersi un senso di affidabilità, basato sulla durata, sulla consistenza, sulla serietà, sulla profondità”.

6. Come organizzarsi?

I. Le strutture di servizio

Tutto ciò significa dunque che i gruppi di acquisto popolare, il supporto legale ad es. per il diritto alla casa, i centri di assistenza fiscale e patronati vanno dismessi, abbandonati? No, tutt’altro!
Come già detto vanno depurati dell’improprio valore direttamente politico assegnato loro poiché non è con queste attività che si “fa direttamente società” ma vanno valorizzati, potenziati e messi a sistema come una delle due gambe principali di intervento prioritario e di riorganizzazione del volto del partito nei prossimi anni.
Che vuol dire? Vuol dire che è impensabile, oltre che errato, continuare a lasciare che le singole realtà territoriali si muovano isolatamente o ci si affidi alla intraprendenza particolare di un gruppo o di un’esperienza locale. Le esperienze particolari sono utili ed essenziali nella misura in cui il centro del partito, in collaborazione con i gruppi che hanno avviato queste attività, metta su un pacchetto organizzato e semilavorato di attività implementabili su nuovi territori.
È impensabile che il partito, dopo aver sperperato le occasioni e le possibilità dei tempi in cui c’era il finanziamento pubblico, continui a non avere una struttura sindacale, di centri di assistenza fiscale, di patronato di riferimento. Bisogna crearne una per evitare che le reltà territoriali debbano inseguire e “pregare” strutture preesistenti rimanendo al carro delle strutture confederali ed extraconfederali che ci sono politicamente avverse.
È impensabile che il partito non abbia un riferimento privilegiato di una struttura associativa culturale e ricreativa nazionale in grado di offrire tesseramento, occasioni di formazione tecnica, facilitazioni nell’ottenimento di licenze di somministrazione al pubblico, tutti elementi utili per implementare nuove attività di sostegno messe su da militanti del partito ed eventualmente anche piccole attività economiche autosufficienti economicamente parlando.
È impensabile che il partito e il suo centro non abbiano pubblicizzato né dato indicazione politico-organizzativa pressante affinché una rete di acquisto popolare fosse in grado di offrire a ogni realtà territoriale tutto il “know how” su come impiantare localmente un gruppo analogo.
Strutture sindacali e di servizio, rete associativa e gruppi di acquisto costituiscono il primo ambito di attività da organizzare centralmente da parte del partito. Ci sono già competenze sviluppate localmente che il centro dirigente nazionale è tenuto a coinvolgere pressantemente e non per organizzare ulteriori momenti di confronto e conferenze pubbliche, ma per mettere in piedi nel giro di un anno le strutture parallele all’organizzazione del partito cui ogni realtà territoriale potrà attingere per irrobustire la sua presenza sul territorio.
Concentriamoci su alcune priorità come queste e lavoriamo su questo mandato da approvare in sede di conferenza d’organizzazione, dopodiché reperiamo anche le risorse economiche e umane di attivisti fidati e professionisti in grado di assicurarci il raggiungimento di questi obiettivi entro l’estate del prossimo anno.
Siamo d’accordo che la vecchia struttura nazionale dei dipartimenti e delle aree sia inservibile, ma solo in questa fase d’emergenza e di ricostruzione, per cui essendo contrari alla logica del lavorare per “progetti” riduciamo semplicemente le aree di lavoro nazionale e i relativi referenti che siano effettivamente in grado di seguire il settore, offrire materiali e indicazioni di lavoro e a disposizione delle realtà territoriali (bastano le seguenti aree: Organizzazione, Esteri, Economia Ecologia e Lavoro, Beni Comuni Enti Locali e Democrazia, Formazione e Cultura).
All’area Organizzazione, in accordo con la segreteria, affidiamo risorse per portare a termine in un anno i compiti di creazione delle strutture parallele del partito in grado di facilitare il radicamento.

II. Tornare al lavoro

Naturalmente dopo quanto detto a proposito del “partito sociale” e del “fare società” risulterà chiaro che non basta questo versante per aumentare la forza politica del partito, il suo radicamento e la sua utilità sociale nel paese.
Il secondo punto imprescindibile è ricollocare l’iniziativa del partito tutto, centrale e territoriale, ancorandolo al mondo del lavoro. Negli ultimi tempi vari gruppi e soggettività hanno ridimostrato l’utilità dell’approccio e del metodo dell’inchiesta, non accademica, sul mondo del lavoro, sfatando miti e luoghi comuni che in un ventennio avevano finito per essere moneta comune anche nel nostro partito (ad es. la fine della classe operaia oppure la riduzione del lavoro dipendente e altre amenità come la nuova risorsa delle classi “creative” o del “cognitariato”).
È alla luce di questa nuova centralità da diffondere in tutto il corpo del partito che va inquadrato il tema della differenziazione dei diversi livelli del partito. È naturale che il livello nazionale e regionale continuino a svolgere il ruolo di direzione politica, organizzazione e formazione-istruzione generali mentre quelli più territoriali (federazioni e circoli) lavorino all’inchiesta. Ma non bisogna fermarsi qui, perché se è vero che l’organizzazione per circoli consente di essere sul territorio, ci serve organizzare gruppi di lavoratori che consentano al partito terrioriale di conoscere le realtà produttive di un territorio, “entrare” nei meccanismi di produzione della ricchezza attraverso lo sfruttamento.
Che il circolo possa fungere da base operativa e/o luogo di ospitalità per queste esigenze va bene, ma che la forma del circolo in “generale” consenta di approfondire e attrarre lavoratori e lavoratrici in un lavoro di inchiesta e di organizzazione di vertenze sindacali e “parasindacali” abbiamo qualche dubbio. È naturale che ci siano gruppi di lavoratori più sensibili e che quindi si legano attraverso il legame della tessera al partito, così come nel lavoro d’inchiesta e controinformazione altri lavoratori possano avvicinarsi al partito prima come simpatizzanti e poi come iscritti, ma non è questo ciò di cui abbiamo bisogno in questa prossima fase per ricollocare la nostra azione.
Abbiamo visto quanto possono essere utili e devono diventare imprescindibili strutture parallele di “servizio”. Ebbene, anche dotarsi di un’organizzazione che funzioni agilmente come piattaforma generale o come un “collettivo” di movimento può essere utile per dare forma e voce alle esigenze e alle vertenze del lavoro di un territorio e formulare proposte sindacali e/o politiche di risoluzione di crisi anche presso i livelli istituzionale.
È vero che si tratterebbe di una funzione che può sconfinare nel campo sindacale ma è indubbio che in tutti questi anni l’assenza di un sindacato di classe e non concertativo ha penalizzato anche il partito, oltre che i lavoratori. È vero anche che nella storia di Rifondazione Comunista spesso e volentieri il dibattito interno sindacale è sempre più assomigliato al confronto/scontro tra compagni di diverse organizzazioni confederali e extraconfederali che trasferivano il conflitto all’interno del partito (immobilizzando e penalizzando il partito stesso) piuttosto che a un luogo di coordinamento tra compagni di uno stesso partito per imprimere linee comuni alle diverse organizzazioni sindacali esterne.
Ferma restando l’importanza della permanenza dei compagni e delle compagne attualmente presenti in tutte le strutture sindacali, di caf e di patronato diventa irrinunciabile mettere in piedi un luogo associativo/piattaforma che coordini queste presenze di attivisti di partito e consenta loro di svolgere un lavoro di organizzazione e proselitismo. È l’organizzazione del partito che ha l’obbligo di favorire e mettere su uno strumento per sfruttare gli errori, le mancanze, le divisioni, le gelosie e i corporativismi delle attuali organizzazioni sindacali non viceversa queste organizzazioni sindacali che devono “utilizzare” le risorse umane del partito, tra l’altro per indebolirlo ulteriormente.
Ciò vuol dire costringere i compagni presenti dei vari sindacati a uscirne adesso? No di certo, però vuol dire iniziare a stare nelle organizzazioni del sindacato in funzione della crescita del partito, ribadendo che sono in errore quei compagni che vogliono artificiosamente tenere separato il loro impegno nel sindacato da quello del partito. Si tratta certo di compiti distinti e livelli da maneggiare con cura e attenzione ma quanti affermano di volerli tenere separati e incomunicanti – quasi che il sindacato non dovesse interferire in nulla con la politica – sbagliano doppiamente: primo, perché depotenziano le lotte sindacali stesse; secondo, perché indeboliscono nel lungo termine la presenza del partito come organizzazione autonoma culturalmente e politicamente della classe lavoratrice.
Parliamo di un’associazione o di una piattaforma perché in questa fase sarebbe insensato lanciare la formazione di un nuovo sindacato che aggiunga frammentazione, sebbene non scartiamo a priori l’idea di creare un’organizzazione sindacale a mo’ di “scatola vuota” che serva solo all’ottenimento di una struttura di assistenza fiscale e patronato (laddove fosse più agevole percorrendo questa strada). Del resto, le scatole vuote domani possono anche riempirsi in caso di necessità e/o opportunità. Questo nuovo luogo a metà tra il sindacale e il politico deve essere aperto non solo a lavoratori e lavoratrici ma anche a quegli altri soggetti collettivi che perseguono la stessa idea di ricomposizione e autodifesa della classe. A questa nuova struttura di intervento nel mondo del lavoro vanno assicurate risorse materiali e umane da parte del partito, soprattutto nella fase di implementazione.

III. Il livello interno

Oltre alle strutture parallele di servizio e all’intervento nel mondo del lavoro, rimane un’ultima ma non meno importante direttrice di lavoro che dovrebbe essere all’ordine del giorno di questa conferenza d’organizzazione e che riguarda più dall’interno il partito stesso, in altre parole il cuore della struttura di partito e le funzioni che vanno assolutamente mantenute all’interno.
Dopo anni di disorganizzazione consapevole o meno e di comode abitudini derivanti dalla presenza del finanziamento pubblico, è sicuramente positivo che il documento della conferenza metta a tema la sopravvivenza del partito in termini economico-finanziari e che anche nella relazione al rendiconto del partito 2013 si dica che “la continuità dell’attività politica per il PRC dipenderà dalla capacità di accrescere le capacità di impegno militante a tutti i livelli organizzativi del partito, dalla riduzione delle spese, oltre che dalle ulteriori dismissioni immobiliari che forniranno le risorse finanziarie essenziali per il funzionamento del PRC”.
Va bene puntare sull’accrescimento dell’autofinanziamento militante attraverso il tesseramento, l’introduzione del Rid, gli emolumenti istituzionali odierni e passati come quelli vitalizi, il 2 (o 5) per mille, oltre che puntare sulla ripresa delle forme più classiche (feste, cene, banchetti, aste, sottoscrizioni, lotterie ecc.). Ci permettiamo di suggerire che queste nuove misure siano rese operative e stringenti con un meccanismo di trasparenza, ad es. per i Rid e i vitalizi è essenziale che il corpo largo e militante del partito sia informato in modo trasparente sui dirigenti e sui rappresentanti istituzionali presenti (e quelli passati ancora aderenti al partito) che aderiscono a queste misure di autofinanziamento. Parimenti bisogna predisporre come forma d’impegno scritto vincolante per i prossimi candidati alle competizioni elettorali e a incarichi di governi il versamento dell’indennità di funzione.
Tutto ciò è necessario ma non sufficiente. Sicuramente queste nuove misure di autofinanziamento possono assicurare una parte delle spese correnti di funzionamento così come le forme più classiche possono in certa misura coprire le spese di mantenimento delle strutture territoriali (essenzialmente dei circoli), ma rimane ancora il problema del mantenimento dei livelli intermedi (regionale e provinciale) nonché le spese necessarie per dare nuovo impulso all’iniziativa politica a ogni livello, ad es. nelle due direttrici poc’anzi delineate. Come fare allora?
C’è un aspetto cruciale in questa conferenza d’organizzazione su cui concentrarci: quello relativo alla dismissione del patrimonio immobiliare. È stata positiva la vendita della storica sede nazionale sovradimensionata rispetto alla forza e alle esigenze attuali del partito, così come condividiamo pacificamente che tali risorse “finanziarie generate da detta vendita, consentiranno una parziale riduzione delle principali partite debitorie riportare nel rendiconto” del 2013 ma ciò che non si evince chiaramente dal documento della conferenza d’organizzazione è:
a) se ci saranno delle risorse generate dalla vendita del patrimonio immobiliare e la loro entità;
b) in caso ci siano risorse, al netto della riduzione dei debiti, come si intendano destinare, utilizzare tali risorse rinvenienti dalla vendita del patrimonio immobiliare per proseguire l’attività politica di Rifondazione comunista.
Premettiamo che siamo logicamente e nettamente contrari alla destinazione di queste risorse eventuali per finanziare le spese correnti e il funzionamento ordinario del partito, soprattutto nella sua dimensione centrale ma anche per finanziare a fondo perduto il mantenimento ordinario di strutture territoriali di ogni ordine (regionale, provinciale, comunale).
Se siamo in una situazione d’emergenza, come attestato da bilanci e reiterate dichiarazioni di dirigenti nazionali, sarebbe insensato vendere il nostro patrimonio per pagare il funzionamento quotidiano del partito senza darsi alcuna prospettiva. Non possiamo vendere il patrimonio e mangiarcelo quotidianamente, così tireremmo a campare per qualche altro tempo ancora ma saremmo destinati alla scomparsa politico-organizzativa.

7. Alcune indicazioni operative

Se rimangono disponibili risorse derivanti dalla vendita del patrimonio queste vanno assolutamente investite, a differenza di quanto non è stato fatto negli anni di abbondanza, per attingere a competenze/consulenze tecniche e professionali, oltre a quelle possedute internamente al partito, per creare attività e strumenti in grado di alimentarsi in modo prevalentemente autosufficiente e così di supportare indirettamente l’ordinaria attività del partito.
Parte delle risorse rinvenienti dalla vendita del patrimonio immobiliare devono essere a ciò destinate, perché sarebbe errore mortale per la nostra sopravvivenza investire nelle spese correnti e non in investimenti economici e politici che possono generare nuove risorse materiali, e non solo, per il partito.
Se risorse da investire ci sono, esse vanno impiegate nelle seguenti direzioni, le prime tre con una proiezione esterna rispetto al partito stesso, la quarta rivolta all’interno del partito stesso:
a) realizzazione di una struttura parallela di assistenza sindacale, fiscale e di patronato e di un’associazione/piattaforma d’appoggio per l’intervento nel mondo del lavoro;
b) realizzazione di una struttura parallela associativa, in ambito culturale e ricreativo, in grado di offrire risorse tramite il tesseramento, occasioni di formazione tecnico-professionale, facilitazioni nell’ottenimento di licenze di somministrazione al pubblico e l’apertura eventuale, nei territori, di piccole attività economiche autosufficienti;
c) realizzazione di una rete di acquisto popolare, e di un circuito annesso di fornitori piccoli, medi e grandi, in grado di offrire a ogni realtà territoriale tutto il “know how” per impiantare localmente un gruppo analogo o eventualmente cooperative di acquisto e consumo;
d) la creazione di uno o più soggetti erogatori di servizi tipografici e allestimento spettacoli.
Le prime tre direttrici rimandano ai paragrafi precedenti per quanto riguarda il senso politico-organizzativo complessivo delle iniziative. La quarta invece consiste nella creazione di uno o due soggetti in grado di mettere direttamente a disposizione del partito i seguenti strumenti:
– attrezzature per la composizione e la stampa di un organo di informazione nonché di manifesti e di tutto il materiale a stampa per la comunicazione e la propaganda;
– strutture modulari di palco, gazebi e amplificazione.
Si tratta di investimenti in mezzi, strutture, e laddove possibile anche di locali, che impiegando il lavoro di attivisti consentirebbe di “internalizzare” e abbattere alcune spese per il partito dotandolo contemporanemente di strutture e servizi.
Il primo tipo di attrezzature consentirebbe di ritornare, almeno inizialmente, a stampare un bollettino o foglio di informazione periodico (mensile, bimestrale o trimestrale) in assenza di Liberazione o, eventualmente, in accompagnamento al suo nuovo formato online trasformandolo in un organo di informazione e collegamento delle inchieste, delle lotte e delle vertenze del mondo del lavoro. Tali attrezzature potrebbero consentire in economia la produzione di materiali politici di comunicazione e propaganda in occasione di campagne nazionali, elettorali e, in ultimo, vedere l’impiego sinergico con i compagni impiegati per la riedizione online di Liberazione, oltre alla possibilità di svolgere lavori “per l’esterno” o per soggettivi vicini a prezzi “politici”. Sarebbe inopportuno frazionare queste risorse ed energie quando invece possono essere riunite in un progetto dotato anche di iniziali mezzi e strutture.
È inammissibile che organizzazioni e gruppi più piccoli di Rifondazione comunista riescano ancora più o meno periodicamente o in occasioni di manifestazioni nazionali a stampare bollettini o fogli di informazione e propaganda e noi no. Non possiamo continuare a rimanere senza un organo di informazione e affidarci soltanto a un sito web nazionale o a facebook con articoli ripresi da altri organi, la cui linea è spesso molto distante dalla nostra, o affidarci alle esternazioni di dirigenti nazionali e alle loro limitate comparsate sui mezzi di informazione generalista.
Costituire questa dotazione iniziale sarebbe anche un motivo in grado di alimentare a ragione una sottoscrizione nazionale e mobilitare gli attivisti che troppo spesso negli ultimi anni sono stati chiamati ripetutamente e con scarsi risultati a sottoscrivere cause perse in partenza o comunque cause in difesa di ciò che rimaneva di un periodo di abbondanza. Si tratta adesso, al contrario, di mobilitare tutte e tutti per una causa di ricostruzione e di rilancio, non più in difesa ma provando ad avanzare a piccoli passi. Tutto ciò non implica ignorare i nuovi mezzi di comunicazione e i social media ma significa non ignorare quanto nella politica e nei territori passi necessariamente attraverso i materiali agili e distribuiti nel passa parola e nel contatto dal vivo.
Analogamente, il secondo tipo di strutture potrebbe essere impiegato direttamente dal partito per l’organizzazione di manifestazioni, raduni, feste nazionali ed eventi senza sottostare ai costi di affitto e noleggio ogni qualvolta c’è l’esigenza di intervenire tempestivamente, cosa che aumenterebbe il nostro peso e la nostra presenza anche all’interno di contesti plurali. Tali strutture, inoltre, potrebbero essere anche noleggiate a prezzi “politici” a organizzazioni di partito territoriali ed eventualmente ad altre soggettività vicine.
Si tratta in definitiva di proposte e direttrici di investimento ovviamente da specificare dettagliatamente e delineare in base alle effettive disponibilità economiche ma che lasciano intravvedere un percorso di ricostruzione del partito e di reinsediamento organizzativo in grado di consentirci l’attraversamento dei prossimi tempi difficili di crisi.
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Siamo convinti che se non ci attrezziamo su questa falsariga e invece continuiamo a lanciare appelli alla mobilitazione destinati poco dopo a cadere nel dimenticatoio, perché magari in ogni stagione vi sono parole d’ordine differenti (dalla Federazione della sinistra alla Costituente dei beni comuni, dall’Altra Europa alla Syriza italiana), Rifondazione comunista è destinata a morire lentamente ogni giorno, esaurendo la sua funzione e impedendo di fatto la costruzione di una sinistra antiliberista.
Qualcuno potrebbe obiettare che la presente riflessione è eccessivamente sbilanciata sul piano della ricostruzione del partito oppure eccessivamente ancorata all’organizzazione di strutture e luoghi sganciati dalle parole d’ordine politiche e dalla linea più idonea di situazione in situazione.
Noi crediamo soltanto di aver provato a costruire un discorso e immaginare un percorso con delle indicazioni capaci di restituire orgoglio di appartenenza, senso della missione e di praticità, a differenza di quanto detto e scritto in questi ultimi anni da buona parte del gruppo dirigente nazionale e sulla base dell’esperienza maturata nel territorio.
Quello che ci aspettiamo da una conferenza d’organizzazione di un partito malato non è un congresso mascherato né rinvii a studi, approfondimenti e inchieste future ma indicazioni precise di lavoro agli attivisti, indicazioni vincolanti per tutti e decisioni nette sull’impiego delle poche risorse materiali e militanti che ci rimangono.

28 Febbraio 2015

Le compagne e i compagni
del Circolo PRCPalestina libera
di Molfetta (BA)


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