La crisi non è finita e a pagarla sono sempre i lavoratori

Di   08/02/2010

La propaganda berlusconiana colpisce ancora: dal vecchio un milione di posti di lavoro del ’94 all’attuale superamento della crisi e al miraggio di uno sviluppo economico basato sulle grandi opere.

Ciò che invece la realtà di ogni giorno ci restituisce è una crisi economica sempre più devastante e un’azione governativa preoccupata principalmente a risolvere i problemi giudiziari del suo leader.

Le conseguenze della crisi, non trovando argini politici – nel governo – ed economici – nella classe imprenditoriale –, sono state sopportate unicamente dai lavoratori che sono stati lasciati da soli a combattere le conseguenze della razionalizzazione della produzione attraverso la chiusura delle fabbriche e delle delocalizzazioni.

Ormai, sia a livello nazionale che locale, i giornali parlano quotidianamente di licenziamenti, di nuovi lavoratori in cassa integrazione e di dipendenti che salgono sui tetti, s’incatenano, bloccano i cancelli, scioperano.

Non ultima, è la notizia, data dall’Amministratore Delegato della FIAT Marchionne, della chiusura dello stabilimento FIAT di Termini Imprese.

Da alcuni giorni una ventina di operai della Delivery Mail protestano stazionando sul tetto dello stabilimento Fiat, contro il mancato rinnovo dell’appalto per la pulizia dei cassoni usati per produzione delle auto, effettuato da 25 anni dalla loro azienda.

I dipendenti, insieme ai loro familiari, hanno deciso di presidiare i cancelli dello stabilimento Fiat, impedendo il transito ai camion con i pezzi per l’assemblaggio, una protesta che secondo le fonti sindacali potrebbe presto causare il blocco della produzione.

Nei giorni scorsi, Marchionne, ha definito “irrevocabile” la decisione di chiudere lo stabilimento entro il 2012, una scelta contestata dai sindacati che hanno indetto un sciopero di quattro ore del gruppo per il 3 febbraio, dopo l’agitazione che ha già interessato gli operai dello stabilimento di Termini e dell’indotto il 13 gennaio scorso.

Sono 1350 i dipendenti diretti e 600 dell’indotto. La situazione, difficile in tutta Italia, a Termini Imerese, diventa drammatica per l’assenza di prospettive e di sbocchi occupazionali alternativi.

A Faenza, invece, chiude lo stabilimento OMSA, lasciando a casa i 350 dipendenti dello stabilimento, di cui 320 donne.

Rifondazione Comunista sostiene la protesta dei lavoratori, delle lavoratrici e delle loro famiglie in questa lotta per la difesa del posto di lavoro.

L’Italia, grazie al suo governo e ai suoi imprenditori, sta svendendo e umiliando l’unica risorsa utile per una futura ripresa economica del Paese, i lavoratori.

Chiediamo che siano immediatamente reintegrati i lavoratori e le lavoratrici delle aziende in chiusura non per problemi economici,ma per razionalizzazioni e delocalizzazioni produttive.

Vogliamo che il Governo adotti tutte quelle misure in suo possesso per scongiurare la chiusura degli stabilimenti e che al contempo assicuri ai lavoratori e alle lavoratrici i necessari mezzi di sussistenza per superare senza difficoltà questo momento di crisi.

(Testo del volantino distribuito al presidio di domenica 7 febbraio)


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